EXPORT, MADE IN ITALY RECORD A SETTEMBRE: PER LA PRIMA VOLTA OLTRE QUOTA 600 MILIARDI

Undicesimo mese in crescita a doppia cifra. Ma la corsa del prezzo gas affonda la bilancia commerciale e il rosso nei nove mesi sale a 31 miliardi

Continua la corsa dell’export, che per la prima volta nei 12 mesi supera la soglia dei 600 miliardi. E prosegue l’impennata delle importazioni energetiche, che approfondiscono il passivo della nostra bilancia commerciale.

Export: settembre record

I dati istat di settembre confermano il trend degli ultimi mesi, facendo segnare per il Made in Italy l’undicesimo progresso consecutivo a doppia cifra, una crescita del 21,6% che in valore assoluto significa quasi 10 miliardi in più rispetto allo stesso mese del 2021.

Mattone aggiuntivo che nell’arco di un periodo di 12 mesi (da ottobre 2021 a settembre 2022) porta per la prima volta le nostre vendite oltreconfine a quota 600 miliardi (siamo a 601).

Risultato raggiunto anche grazie alla forte crescita dei listini legata all’inflazione (dei 21 punti di crescita di settembre solo due sono maggiori volumi) e tuttavia superiore, guardando al tasso di crescita, sia rispetto alla Francia (nei nove mesi noi cresciamo del 21,1%, Parigi del 20%) che soprattutto della Germania, in crescita solo del 15%.

Salgono anche le importazioni

Crescita delle vendite che continua però ad essere sopravanzata dai nostri acquisti, lievitati a settembre del 40,4%. In nove mesi l’impennata è analoga, pari al 43,5%, soprattutto per effetto dell’energia, trend che manda al tappeto la nostra bilancia commerciale: se lo scorso anno tra gennaio e settembre potevamo vantare un attivo di oltre 37 miliardi, ora siamo in “rosso” per più di 31.

Qualche novità negli acquisti è però visibile. La forte riduzione delle forniture dalla Russia inizia a rendersi palese anche nei nostri acquisti da Mosca, che a settembre evidenziano un deciso rallentamento: a fronte di importazioni che in media crescono del 40%, verso la Russia il progresso è solo del 6,5%, frenata evidente rispetto al più che raddoppio verificatosi nei primi otto mesi dell’anno.

In generale è comunque l’energia a cambiare volto alla nostra bilancia commerciale: se nei primi nove mesi del 2021 avevamo importato gas e greggio per 39 miliardi, ora siamo saliti a 106, poco meno del triplo. L’unica (misera peraltro) buona notizia è in questo caso legata all’appiattimento del trend: dopo aver raggiunto un picco di 14,8 miliardi a luglio, settembre presenta nell’import energetico valori lievemente inferiori.

Il gas affonda i conti in Europa

L’impatto devastante dei rincari dell’energia è visibile del resto guardando ai numeri dell’intera Europa, che tra gennaio e settembre ha importato dall’area extra-Ue gas e greggio per quasi 630 miliardi di euro, due volte e mezza ciò che comprava nello stesso periodo dell’anno precedente.

Pioggia di denaro che finisce in più direzioni. E se nei confronti della Russia la scelta europea di smarcarsi è visibile nella crescita dell’import tutto sommato modesta (+53%) alla luce dell’esplosione dei prezzi, una vera pioggia di denaro sta inondando la piccola Norvegia. Con Oslo a incassare in nove mesi dall’Unione europea 120 miliardi di euro, settanta in più rispetto all’anno precedente.

Alimentando così più di una critica sull’azione di un paese Nato che indirettamente trae enorme beneficio dalle scelte europee di affrancarsi dalle forniture di Mosca e che non pare evidentemente intenzionata ad adottare la linea del price cap.

«Non è il governo norvegese a vendere il gas ma le aziende private – ha spiegato qualche giorno fa il ministro dell’Energia norvegese, Terje Aasland . Rispettiamo la Ue- aggiunge – ma il price cap non è la soluzione».

La maxi-bolletta energetica, norvegese e non solo ovviamente, è una zavorra che colpisce praticamente ogni paese e che nel complesso manda al tappeto l’intera bilancia commerciale continentale: da un attivo di quasi 90 miliardi verso i paesi extra-Ue nei primi nove mesi del 2021 si è passati ora ad un “rosso” di quasi 360. Escursione targata soprattutto Cina (qui a contare è soprattutto l’inflazione dei prodotti) e poi Russia (da -44 a -126) e Norvegia (da -4 a -71). Il deficit energetico, da solo, vale quasi 500 miliardi di euro.

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